di Bianca Maria Sezzatini
Sabato 15 febbraio 2014, alle ore 18:00, presso il
centro culturale "Spazio Durango", in Via Metastasio 25/27, a
Pomezia, Paolo Moscogiuri presenta il suo libro: "LA CITTÁ FRAGILE -
Come restituire dignità alla città e ai suoi cittadini".
Sono
andata a trovarlo. Conosciamolo da vicino.
Gli
chiedo: “Chi è lo scrittore Paolo Moscogiuri”?
Sono
un architetto che considera questa professione più vicina alla sociologia che
alla tecnica, perché prima di operare sul territorio per realizzare grandi
interventi o semplicemente la costruzione di una casetta, è necessario capire a
fondo il materiale umano che ci andrà a vivere. Ed è dagli studi su questo
materiale umano che ho dato priorità a quello più fragile. Nel tempo ho
collaborato con varie associazioni in difesa dell’Utenza più Debole, ed il mio
libro vuole essere una sintesi di tutte queste esperienze. E veniamo al titolo del suo volume. “
Giusto,
perché una città dovrebbe diventare fragile, non è un bicchiere o una bottiglia
di vetro, è fatta di mattoni, cemento, asfalto, marmo.
Per
spiegare questo, nel libro metto a confronto il comportamento di una molla con
quello della città, quando la prima viene esageramene sottoposta a forze di
trazione e la seconda (la città), quando viene anch’essa sottoposta a “forze”
che la diradano talmente sul territorio, da fargli perdere ogni limite e ogni
controllo. In tutte e due i casi si entra in una situazione detta di
“plasticità”, perché si perdono i requisiti caratteristici: per la molla
l’elasticità e per la città il legame con i suoi cittadini.
Ma quali sono queste forze,
invisibili e così potenti da spezzare i legami fra cittadini e città?
Sono
molteplici, ma le principali le possiamo individuare nella crescita edilizia
incontrollata, quindi speculativa; nel capovolgimento del concetto di strada,
dovuto soprattutto all’indiscriminato uso dell’automobile; nella trasformazione
dell’organizzazione famigliare in funzione del lavoro.
La
crescita a macchia d’olio delle città, in Italia, è un fenomeno relativamente
recente che possiamo datare agli anni ’60 con il boom economico e con la
perdita di ogni motivazione del potere politico di creare consenso anche
attraverso l’abbellimento della città.
Mi
spiego meglio; per secoli imperatori, re, dogi, signorie, dittatori hanno
costruito la loro immagine, che si sarebbe tramandata ai posteri, attraverso
grandi opere per il popolo, come piazze, fontane, viali, strade, giardini,
monumenti, ecc, ma con l’avvento della Repubblica la “res” cioè la “cosa”,
diventa un impegno di tutti, cioè del popolo che, soprattutto quello italiano,
non ha mai avuto molto interesse ad occuparsene direttamente. Insomma si
conquista la Democrazia, ma decade la motivazione per la quale ora un Ministro
o un Governo dovrebbero dare lustro alle città.
L’unico
potere che non ha mai smesso di produrre bellezza è quello religioso perché la
sua motivazione non è mai decaduta.
Inoltre
la situazione si complica con il fatto che la ripresa economica del dopoguerra
punta molto sull’edilizia residenziale e i Piani Regolatori si trasformano (se
mai lo sono stati) da mezzi di controllo del territorio in mezzi di spartizione
delle Rendita Fondiaria, trasformando un terreno senza valore in una fonte di
guadagni inesauribile. E questa non è solo storia, è anche il presente.
Ecco
in parte spiegato perché le città italiane a differenza di quelle del nord
Europa e non solo sono diventate invivibili e ingestibili. Ma non finisce qui,
perché contemporaneamente alla diffusione della speculazione edilizia avviene
anche la diffusione dell’automobile, o meglio della “macchina”. (In nessun
altra lingua per chiamare l’automobile si usa questo sostantivo, perché per noi
questo mezzo di trasporto è “LA MACCHINA” per eccellenza, cioè uno status
simbol irrinunciabile.
La diffusione
esponenziale di questo mezzo di trasporto però cambia anche il concetto di
strada, che da “area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni,
degli animali e dei veicoli” come declara l’art. 2 del Codice della Strada,
diventa area ad uso esclusivo della… “MACCHINA”. E le categorie più deboli
vengono totalmente escluse e nessuno si pone il problema, talmente è forte il
simbolo che rappresenta.
Terzo elemento
(questo più attuale) che porta il decadimento della città italiana da luogo
relazionale ad agglomerato di spazi di transito e dormitorio, è
l’organizzazione famigliare completamente succube da quella del lavoro. Negli
ultimi decenni la crisi economica ha costretto tutti e due i genitori a
dedicare il loro tempo esclusivamente al lavoro, rinunciando anche a quella via
di mezzo (il part-time) che permetteva di vivere almeno mezza giornata con i
figli, e magari frequentare quegli spazi cittadini più idonei alle relazioni e
al gioco. Questo vuol dire che i figli il pomeriggio stanno a scuola, dai nonni
o soli in casa, in attesa di poter uscire e incontrare i propri amici.
Quindi l’organizzazione del lavoro non solo ha
conseguenze sulla vita famigliare e sullo sviluppo psico-sociale del bambino,
ma ha anche cambiato i rapporti fra cittadini e città?
La città,
abbandonata dal suo fruitore, ha visto trasformare gli spazi relazionali in
spazi di transito e parcheggio automobilistico diffuso, creando impedimento
alla mobilità autonoma delle categorie più fragili. E siccome l’autonomia nella
mobilità vuol dire anche dignità, con la perdita dell’una si è persa
anche l’altra.
Pertanto, soprattutto gli utenti più deboli, quali
i bambini e gli anziani, pagano le conseguenze di questa trasformazione della
città?
A pagarne
pesantemente le conseguenze però non ci sono solo i bambini, gli anziani o il
pedone generico; c’è una categoria per la quale l’inaccessibilità dei luoghi
diventa un impedimento a una vita autonoma e dignitosa: sono le persone con disabilità.
Per queste, raggiungere il giornalaio, la piazza principale, la fermata dell’autobus, la scuola, può diventare a volte impossibile. Impossibile ed umiliante aggiungo, in quanto oltre al danno subiscono la beffa. La beffa di leggi sull’eliminazione delle barriere architettoniche datate 1989 e 1996 e mai ottemperate. Ed attenzione ad applicarle, perché quando raramente si cerca di farlo, spesso per superficialità e incompetenza si fa più danno che bene. Così vediamo realizzate rampe con pendenze e curve da otto volante, marciapiedi già stretti, ridotti a budelli da pali della luce o pubblicitari piantati nel mezzo. Rampe realizzate da una parte della strada e non dall’altra, creando un disagio e un pericolo maggiore della loro totale mancanza, griglie dei tombini posizionate nel senso del camminamento, pericolose per le ruote di una carrozzina ma anche di una bicicletta, rampe di accesso a garage che tagliano il percorso del marciapiede, o piastrelle del codice Loges per i non vedenti usate come ciglio, oltre naturalmente a centinaia di automobili parcheggiate impunemente sulle strisce pedonali o cassonetti per la spazzatura parcheggiati sui marciapiedi o sugli attraversamenti. Ecco allora che la “fragilità” della città si riversa sulle categorie più deboli, rendendo anche loro fragili.
Per queste, raggiungere il giornalaio, la piazza principale, la fermata dell’autobus, la scuola, può diventare a volte impossibile. Impossibile ed umiliante aggiungo, in quanto oltre al danno subiscono la beffa. La beffa di leggi sull’eliminazione delle barriere architettoniche datate 1989 e 1996 e mai ottemperate. Ed attenzione ad applicarle, perché quando raramente si cerca di farlo, spesso per superficialità e incompetenza si fa più danno che bene. Così vediamo realizzate rampe con pendenze e curve da otto volante, marciapiedi già stretti, ridotti a budelli da pali della luce o pubblicitari piantati nel mezzo. Rampe realizzate da una parte della strada e non dall’altra, creando un disagio e un pericolo maggiore della loro totale mancanza, griglie dei tombini posizionate nel senso del camminamento, pericolose per le ruote di una carrozzina ma anche di una bicicletta, rampe di accesso a garage che tagliano il percorso del marciapiede, o piastrelle del codice Loges per i non vedenti usate come ciglio, oltre naturalmente a centinaia di automobili parcheggiate impunemente sulle strisce pedonali o cassonetti per la spazzatura parcheggiati sui marciapiedi o sugli attraversamenti. Ecco allora che la “fragilità” della città si riversa sulle categorie più deboli, rendendo anche loro fragili.
Architetto. Quali sono le soluzioni?
Per ogni scienza
umanistica, sociologica o politica, prima di dare soluzioni è necessaria la
conoscenza approfondita del comportamento dell’uomo nel suo contesto. Il
contesto in questione, parlando di città, non è il semplice spazio
architettonico più o meno bello, ma quello che molti teorici chiamano “spazio
esistenziale”. Lo spazio architettonico poi rappresenterà la concretizzazione
dello spazio esistenziale. Ed è per questo che nella seconda parte del mio
libro ho inserito una parte “teorica”, per aiutare amministratori,
associazioni, ma anche il buon sindaco ad analizzare il “contenuto umano” prima
di prendere decisioni urbanistche ed infrastrutturali.
Lo studio dello
spazio esistenziale vuol dire l’analisi del comportamento umano nei “luoghi”,
“percorsi”, “domini” e nei rispettivi “livelli”. Non è possibile qui
approfondire l’argomento e vi rimando perciò alla lettura del libro, mentre
voglio accennare ad alcune soluzioni pratiche e a costo zero per migliorare la
vita del cittadino.
Basterebbe che gli
uffici tecnici seguissero le prescrizioni del DMLP 236/89, arricchite di facili
disegni completati di misure e pendenze, comprensibili anche da un bambino.
Qualcuno sostiene che siano le migliori del mondo. Peccato però che nelle altre
parti del mondo, anche laddove normative non ci sono, una persona disabile può
svolgere la stessa vita di chiunque, ma in Italia no! Allora dov’è il problema? E’ nel fatto che le
barriere prima di essere fisiche sono psicologiche e culturali. Ognuno di noi
si accorge solo dei disagi creati da una città “handicappata” (sì perché
handicap vuol dire: disagio, impedimento, e la persona non porta un
impedimento, semmai è la città che lo crea); come dicevo, ci si accorge di
questo, solo quando la vita ci fa comminare con una gamba ingessata o con il
passeggino del figlio, allora ci rendiamo conto di qualche difficoltà e si
maledice il gradino troppo alto anche se fino a ieri parcheggiavamo davanti alla
rampa di accesso delle stesso marciapiede.
Fortunatamente
le moderne impostazioni urbanistiche oggi ci suggeriscono soluzioni già
sperimentate in tanti paesi del nord Europa da almeno un ventennio: dalle isole ambientali, alla moderazione del
traffico, al car sharing, al car pooling, all’intermodalità, alla ciclabilità,
ecc.
Se però,
l’eliminazione fisica delle barriere si fa con l’applicazioni delle leggi;
l’eliminazione di quelle culturali si fa ridando dignità e qualità agli spazi
pubblici della città. Uno spazio pubblico si qualifica quando diventa “luogo
relazionale” e non di semplice transito. Per fare questo gli amministratori, ma
gli stessi cittadini devono imparare ad amarlo e rispettarlo e comprendere che
la storia in quei luoghi ha stratificato il tempo dei nostri padri e sedimenta
quello della nostra vita.
Un luogo va rispettato e vissuto come rispettiamo e viviamo la nostra casa, meglio se si tratta di quella paterna. Sicuramente dopo molti anni dobbiamo ristrutturarla, ma anche se ne cambiamo per necessità la distribuzione degli spazi, cercheremo sempre di non eliminare quel posto dove da bambini ci nascondevamo o dove sono accadute cose vive e care nella nostra memoria. A volte anche antichi pavimenti preferiamo semplicemente rotarli o levigarli, piuttosto che demolirli, se rappresentano per noi affetti famigliari. Ecco queste della case sono le stratificazioni emozionali; la città contiene sia queste che quelle storiche e culturali. Non rispettare i luoghi storici vuol dire non rispettare la storia dei nostri padri e dei nostri nonni. Ecco allora che qualificare la città vuol dire prima di tutto restituirgli le qualità relazionali che le appartengono, e che il traffico incontrollato ha soffocato.
Un luogo va rispettato e vissuto come rispettiamo e viviamo la nostra casa, meglio se si tratta di quella paterna. Sicuramente dopo molti anni dobbiamo ristrutturarla, ma anche se ne cambiamo per necessità la distribuzione degli spazi, cercheremo sempre di non eliminare quel posto dove da bambini ci nascondevamo o dove sono accadute cose vive e care nella nostra memoria. A volte anche antichi pavimenti preferiamo semplicemente rotarli o levigarli, piuttosto che demolirli, se rappresentano per noi affetti famigliari. Ecco queste della case sono le stratificazioni emozionali; la città contiene sia queste che quelle storiche e culturali. Non rispettare i luoghi storici vuol dire non rispettare la storia dei nostri padri e dei nostri nonni. Ecco allora che qualificare la città vuol dire prima di tutto restituirgli le qualità relazionali che le appartengono, e che il traffico incontrollato ha soffocato.
Grazie architetto Moscogiuri per
l’interessante intervista.
Sono
io che ringrazio Lei, gentile dottoressa Sezzatini, per l’attenzione che vorrà dedicare al mio libro.
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LA CITTÁ FRAGILE
Come restituire dignità alla città e ai suoi cittadini
LA CITTÁ FRAGILE
Come restituire dignità alla città e ai suoi cittadini
pagine: n. 110
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