di Bianca Maria Sezzatini
Le protagoniste sono tre operaie: Klara, l’aspirante leader, Agnese, la pigra mediatrice, e Martha, quella nuova. Il lavoro in fabbrica è logorante, soprattutto per le donne, persino sciogliere i capelli durante l’orario di lavoro è un atto trasgressivo sottoposto a rigido divieto e sembra impossibile sognare qualcosa di più. Un giorno, però, succede qualcosa: Martha inizia una relazione clandestina con il loro capo e, da quel momento, le tre donne cominciano a ottenere dei piccoli miglioramenti sul lavoro, guidate dal sogno di Klara di una ribellione contro il sistema.
Mentre ottengono sempre di più, le tre donne si spingono a desiderare cose sempre meno innocue, sempre più proibite. Il testo si ispira al modello della fiaba in cui il soprannaturale sembra entrare nella realtà e il desiderio è una forza ambigua, che spinge a superare un confine vietato e, poi, a pagare un prezzo troppo alto. Le tre donne, insieme, sperimentano l’euforia di progettare un riscatto – personale e collettivo – e, nel bene e nel male, scoprono di avere il potere di cambiare la realtà.“La regia porta a compimento l’ambivalenza del testo che si muove tra concretezza estrema del contenuto e del lessico e una sospensione dei confini del reale tipica della fiaba. Siamo davanti a una fabbrica, dove, a nostra interpretazione, viene prodotto qualcosa dall’aspetto e dall’odore sgradevole, come carne in scatola per animali, che rende le operazioni meccaniche delle tre donne ancora più sofferte e svuotate di un significato. Alludiamo alla fabbrica attraverso la presenza dei barattoli di latta: in uno spazio scenico buio e vuoto, la fabbrica è una sagoma di barattoli che si alzano verso il cielo, una cattedrale di cemento la cui ombra si allunga sulle protagoniste. La fabbrica è sempre presente nelle parole delle attrici anche se non entreremo mai davvero lì dentro: un luogo oscuro che incombe, il simbolo di un presente che è un pantano da cui non si può scappare e dell’oppressione. In questa oscillazione tra crudezza del reale e sospensione fiabesca, il soprannaturale è un elemento poetico a cui la regia allude senza mai darne una prova certa: non si sa se esista davvero, ma la realtà produce uno strano e inquietante meccanismo di coincidenze che si trasformano presto in una trappola e questo è lo spazio in cui è possibile, per il pubblico, credere nell’incredibile”, annota Francesca Caprioli.
“Le didascalie dell’autrice e i titoli delle scene sono mondi abitati: sono lo spazio in cui i fatti che si susseguono assumono una portata universale perché diventano una storia che fin da subito ha su di sé la minaccia di un finale tragico: c’erano una volta tre donne che vivevano in un buco di merda, dice il primo titolo. Le tre donne, infatti, sono in una fossa, la speranza di uscirne è solleticata dalla catena di eventi che ruotano attorno a Martha, ma la fiaba ha un meccanismo narrativo implacabile che riguarda il nesso tra il desiderio, il limite superato e la punizione: e vissero per sempre infelici e scontente, racconta l’ultimo titolo. La linea temporale, come la fiaba, è una specie di corto circuito, un avvitamento su se stesso del fato tragico: secondo le didascalie, le scene avvengono a distanza di mesi, giorni, poi alla fine ore, minuti, tutto precipita e il tempo scivola via verso l’inevitabilità del dramma.
Il testo e la regia, quindi, accompagnano l’azione in una costruzione scarna, essenziale, fondata sulle atmosfere e sul lavoro con le attrici sui personaggi delle tre donne: tre donne stratificate, complesse, a tratti “storte”, sbagliate, zoppicanti. Decidiamo di introdurre anche nel lavoro delle attrici una sorta di sporcatura concreta: la parlata delle tre attrici indossa delle venature dialettali e regionali, sono tre donne reali, tre persone “del popolo”, ai margini della società. Due di loro provengono dal centro sud, mentre l’estraneità di Martha è sottolineata dal fatto che lei sia l’unica che viene dal nord. Le tre attrici hanno lavorato sull’immaginario concreto che costruisce la quotidianità dei loro personaggi e il percorso che le ha condotte fin lì. Vogliamo restituire, di questi tre esseri umani, soprattutto la forza della complessità e dell’ambiguità, l’essere al contempo dei singoli e parte di una collettività e di un sistema da cui non riescono a svincolarsi. Tre donne, ma soprattutto tre operaie, tre corpi che sono prima di tutto forza lavoro, sono controllati da un sistema che li opprime. Eppure restano, comunque, tre corpi che desiderano, sognano, cospirano, sperano, immaginano, superano il limite consentito.”
A LITTLE GOSSIP NEVER KILLED NOBODY. Una commedia da non mancare!
SPETTACOLI
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Domenica, ore 17:00
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Ridotto, 10€.
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