Da giovedì 14 luglio a domenica 11 settembre 2022, al Teatro Anfitrione all’aperto, la Compagnia "La Plautina" presenta lo spettacolo comico “TOSCA SI GETTA NEL TEVERE…ANDIAMOLA A VEDERE, con Sergio Ammirata, nei panni di Scàrpia, che è anche il regista.
Maria Caterina Andreozzi: Tosca
Vittorio Aparo: Bello di Nonno
Paolo Bonanni: Cavaradossi
Irene Cannello: Rubantina
Amedeo D’Amico: Angelotti, Bimbi
Annachiara Mantovani: Maneclepto, Fanfulla
Claudio Piano: Bello di Nonna
Enrico Pozzi: Pio, Cherubino, Frate Eusebio
Spettacolo itinerante, divertentissimo, allestito con la tecnica del Teatro nel Teatro, assolutamente da non mancare!
ORARIO SPETTACOLI
dal giovedì alla domenica, ore 20:45
PER INFO E PRENOTAZIONI: tel. 06 – 57.50.827
TEATRO AVENTINO ALL'APERTO
Giardini Basilica di San Saba
Piazza Gian Lorenzo Bernini, 20 (Aventino)
Direttore artistico: Sergio Ammirata
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Il dramma "La Tosca" venne rappresentato al Teatro dei Filodrammatici di Milano all'inizio del 1889 e Giacomo Puccini ne rimase molto colpito, cominciando a pensare di ricavarne un'opera. Ne parlò con l'editore Giulio Ricordi, chiedendo a lui di interessarsi ai diritti per musicarla. Sardou non oppose un netto rifiuto, ma dimostrò freddezza. In ogni modo alla fine del 1893 Ricordi ottenne l'autorizzazione, anche se a favore di un altro compositore, Alberto Franchetti, che aveva da poco trionfato con Cristoforo Colombo.
La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900.
La trama si svolge a Roma nell'atmosfera tesa che segue l'eco degli avvenimenti rivoluzionari in Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: martedì 17 giugno 1800, qualche giorno dopo la Battaglia di Marengo.
Atto I
Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi.
Quando irrompe nella chiesa un sagrestano, Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando, mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto. Il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l'arrivo di Floria Tosca, l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella: Mario non può rivelare alla sua amata l'accaduto poiché teme che ella, fervida credente, riveli in confessione la presenza di Angelotti. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera. Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica, riesce a calmarla e a congedarla.
Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.
La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia, capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch'egli bonapartista.
Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma era sfumato in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento militare. Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Uscita Tosca, Scarpia ordina al suo agente di polizia Spoletta di seguirla di nascosto e, mentre i fedeli popolano la chiesa intonando il Te Deum per celebrare la sconfitta di Napoleone, il barone immagina con gioia feroce sia l'impiccagione di Cavaradossi che di avere Tosca fra la sue braccia.
Atto II
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli per celebrare la vittoriosa battaglia, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta e gli altri gendarmi hanno seguito la furente Tosca fino alla villetta di Mario, dalla quale la donna è tuttavia uscita poco dopo, avendo compreso il grave errore causato dalla sua gelosia. Gli sbirri hanno perquisito a fondo la dimora ma non sono stati in grado di localizzare Angelotti, così arrestano Mario e lo conducono al cospetto di Scarpia. Il pittore, interrogato, si rifiuta di rivelargli il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.
Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo. Mario inneggia ad alta voce alla vittoria e Scarpia lo condanna immediatamente a morte per impiccagione, facendolo condurre via. Più tardi arriva anche la notizia che Angelotti si è suicidato all'arrivo degli sbirri: Scarpia ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a Cavaradossi. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di accordare la grazia a Mario: il barone acconsente solo a patto che lei gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio, ma invano: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che Cavaradossi sarà fintamente giustiziato mediante una fucilazione simulata, con fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo colpisce a morte con un coltello trovato sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere, poi, in uno slancio di religiosa pietà, pone due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente scappa via.
Atto III
È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla. La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia, mostrandogli il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Mario però viene fucilato veramente: Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida "O Scarpia, avanti a Dio!" e si getta dagli spalti del castello.
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